VQR: le possibili illegittimità dei prelievi coatti

Allego, a riguardo dei “prelievi forzosi” recentementi effettuati da vari Rettori, una lettera di diffida inviata dal ricercatore F. Strata al proprio Rettore (Uniparma).

Magnifico Rettore Prof. Borghi, Ill.mo Prorettore Prof. Brighenti,

Dopo un attento esame della documentazione da Voi inviata in data 1 marzo 2016, ore 16:18, prendendo atto delle decisioni del CdA e del SA dell’Università di Parma ed in seguito all’incontro del 4 marzo 2016, ore 9:00, organizzato dal Magnifico Rettore, e constatato che le divergenze di origine sulle questioni del prelievo coatto sono rimaste invariate e soprattutto preso atto che l’azione di prelievo coatto e’ iniziata in anticipo rispetto alle scadenze prefissate, ritengo doveroso inviarVi una sintetica risposta ad alcune delle argomentazioni, con un linguaggio semplice e cercando di evitare considerazioni sulle modalità di questa propagandata decisione/azione, riservandomi il diritto di aggiungere ulteriori argomentazioni qualora se ne ravvisasse la necessità.

A pagina 6 dell’Allegato 3, punto 5, paragrafo 5 si riporta “Se è poi vero che, come si accennava, il prodotto della ricerca in linea di principio appartiene al suo autore, è altrettanto vero che il medesimo non è affatto in tutto e per tutto equiparabile a una normale opera intellettuale, se non altro perché è realizzato da dipendenti pubblici (pagati anche per questo) e sfruttando risorse materiali e organizzative anche dell’Ateneo.”

Ricordando che in accordo con l’Art. 12 L’autore ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera. Ha altresì il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo, originale o derivato, nei limiti fissati da questa legge, ed in particolare con l’esercizio dei diritti esclusivi indicati negli articoli seguenti. È considerata come prima pubblicazione la prima forma di esercizio del diritto di utilizzazione.

Si fa presente che l’art. 29 della citata legge 633 dichiara “Per le comunicazioni e le memorie pubblicate dalle accademie e dagli altri enti pubblici culturali tale durata è ridotta a due anni; trascorsi i quali, l’autore riprende integralmente la libera disponibilità dei suoi scritti.

Una prima regolamentazione dei suddetti interessi è contenuta nell’art.11, secondo comma, l.a., che attribuisce proprio alle università i diritti d’autore sulle raccolte degli atti o delle pubblicazioni realizzate a loro nome e spese. È fatto salvo, in ogni caso, un diverso accordo con gli autori delle opere pubblicate. Va, peraltro, evidenziato che la norma in parola deve essere coordinata con quanto previsto dall’art. 29 l.a., il quale, a questo proposito, prevede due distinte situazioni. Nel caso di atti e pubblicazioni che concernono la normale vita dell’ente (comunicazioni sull’andamento dell’attività, relazioni su certi risultati conseguiti collettivamente, resoconti di congressi), i diritti, morali e patrimoniali, di quest’ultimo si protraggono per un periodo di vent’anni dalla prima pubblicazione. Qualora, diversamente, l’università curi, a proprie spese, la pubblicazione di opere dell’ingegno create autonomamente da soggetti aderenti alla stessa – e, quindi, in primo luogo, da ricercatori e docenti da quest’ultima dipendenti – l’art. 29 prevede che i relativi diritti patrimoniali rimangano in capo all’ente per soli due anni «trascorsi i quali, l’autore riprende integralmente la libera disponibilità dei suoi scritti». Quest’ultima previsione trova applicazione soltanto nel caso in cui l’ente di appartenenza curi la pubblicazione e ne sostenga le spese: diversamente, la titolarità dei diritti derivanti dall’opera dell’ingegno prodotta dal dipendente rimane in capo a quest’ultimo. Il combinato disposto delle norme in parola dimostra che l’attribuzione della titolarità in favore delle università delle opere di carattere «umanistico» si realizza unicamente in presenza della duplice condizione sopra richiamata (pubblicazione a cura e a spese dell’università), senza che basti – per gli

atti o per le pubblicazioni, ossia, sostanzialmente, per opere letterarie, scientifiche, visive o musicali – un rapporto di lavoro subordinato dell’autore con l’ateneo stesso.

Dal momento che la legge prevede sanzioni di natura civile, penale ed amministrativa, in caso di violazione del diritto d’autore, lo scrivente ritiene opportuno doversi attivare in modo da salvaguardare il Magnifico Rettore, il CdA, il SA e gli esecutori materiali del provvedimento, Ing. Panciroli e Sig. Panella Marco, dal rischio di incorrere in azioni legali da parte degli autori, diffidandoli dall’utilizzare qualsiasi prodotto della ricerca senza il consenso scritto di chi ne possiede la proprietà intellettuale stabilita dalla stessa legge all’art.2, comma 1.

In risposta a quanto riportato a pagina 8, punto 7., “È appena il caso di notare, per concludere, che, qualora si ritenesse sussistente il potere dell’Università di agire in via sostitutiva nei termini testé precisati, le relative condotte personali non potrebbero assumere rilevanza penale: un comportamento non può essere lecito e tuttavia esporre al tempo stesso l’autore a conseguenze di ordine penale; né, per così dire a monte, paiono inquadrabili in schemi tipici di figure di reato condotte che si limitino all’indicazione ex officio dei prodotti da presentare ai fini della VQR, purché ovviamente nel rispetto delle normative di settore (in tema di trattamento dei dati, di diritto d’autore, di marchi e brevetti, ecc.).” preme far notare che la possibile illegittimità di tale prelievo forzoso non risiede solo nella violazione del diritto d’autore, ma anche della Legge 300/70 art. 2 e 3. Dato che nel caso specifico l’obiettivo del prelievo forzato coincide, come dichiarato, con la tutela del patrimonio aziendale, l’esecutore di tale azione può essere comparato ad una guardia giurata o personale di vigilanza. Ma in virtù dell’art. 3 “i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati“. Dal momento che non vi è stata comunicazione né di nominativi né di mansioni specifiche, gli esecutori materiali di tale azione coercitiva, nella persona dell’Ing. Panciroli e Sig. Panella Marco in primis e di chiunque partecipi a questa operazione, devono essere considerate in violazione di tale normativa con possibili conseguenze sulla normativa del lavoro.

Si conclude facendo presente che, nonostante i solleciti dello scrivente, a seguito del ritardo (omissione d’atto d’ufficio?) con cui il prorettore alla Ricerca, Prof. Furio Brighenti, ha fornito i documenti relativi alle decisioni del CdA e del SA ed alla consulenza del servizio legale di ateneo, con conseguente limitazione dei tempi di risposta da parte della controparte affetta da tale decisione, lo scrivente si riserva in primis il diritto di evidenziare il comportamento deontologicamente scorretto di chi ha posto in essere questo atto coercitivo evasivo dei valori di LEGALITÀ, LEALTÀ e SOLIDARIETÀ cui è improntato il Codice Etico dell’Università di Parma.

Lo scrivente si riserva inoltre il diritto di evidenziare un’ulteriore serie di anomalie che potrebbero rappresentare delle violazioni alla legge 300/70 Statuto dei diritti del lavoratore e delle normative relative al Phishing (un illecito sia civile che penale).

Nel rispetto di una leale collaborazione tra colleghi che dovrebbero solidarizzare con chi agisce nell’interesse di tutti, nella volontà di fare quanto possibile per salvaguardare gli interessi degli studenti e dell’Ateneo, ma soprattutto di coloro che l’Università la fanno, i docenti, e che le danno lustro e fama internazionale, i ricercatori, e soprattutto con la più grande volontà di evitare aule di

tribunali trascinando annose ed inutili cause, si chiede di riaprire un dialogo con il chiaro intento di perseguire un obiettivo comune: un’università migliore per la ricerca e gli studenti.

In fede, Parma li, 6 marzo 2016

Fabrizio Strata